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Notti d’Estate 2019 – La (mia) America – foto di Claudio Colotti

31 Ago

Luciano Celli Tancredi al MIDAC – testo di Alfonso Caputo

5 Mag

Sintetizzare l’emozione dell’incontro con i lavori di Luciano Celli Tancredi in poche righe non è un’operazione semplice, così come di sicuro semplice non è questo artista dotato di una impressionante espressività.

Il suo personale percorso umano e professionale si snoda lungo le strade della ricerca pura e dello studio intenso.

L’artigianalità del gesto nulla toglie all’artisticità del risultato, anzi lo nobilita.

Con pazienza e costante lavoro ha costruito una capacità di addomesticare il tratto, il colore e la materia e di dare forma a lavori che escono da dimensioni precostituite.

I luoghi della memoria collettiva si fondono con i luoghi dell’artista e il suo stile onirico libera ogni espressione dal peso del tempo.

È sempre giovane colui il quale non è schiavo delle convenzioni e delle mode, ma vive in un proprio tempo soggettivo.

Il suo stile è inconfondibile e regala in un attimo un respiro libero a chi si relaziona con la sua arte.

Nei suoi spazi prospettici la figura umana sembra trovare un’equilibrio con l’ambiente circostante che nella vita quotidiana è una pura chimera.

È possibile percepire la simbiosi tra un’architettura riconoscibile, ma di fatto irreale, e umani senza volto, ma dotati di una propria personalità.

Uomo/donna, umanità/ambiente, città/natura. I suoi sono dualismi che non prevedono contrapposizione, ma fusione e armonia.

E sono forse allora queste allegorie che rendono unico lo stile di Luciano Celli Tancredi.

È raro poter ammirare i suoi lavori da vicino.

Una ragione in più per non perdere l’occasione di conoscere questo artista e i suoi lavori e vivere l’esperienza di questa sua personale con la certezza di non poter rimanere indifferenti.

Alfonso Caputo
Maggio 2016
Belforte del Chienti

Margareth Degeling al MIDAC – testo di Alfonso Caputo

8 Set

Riguardo questo progetto artistico di Margareth Degeling va chiarito, prima di ogni altro, un aspetto molto importante.

È una mostra composta di fotografie, ma non è una mostra di fotografia.

Sembra un gioco di parole, ma non lo è in quanto l’artista ha scelto, deliberatamente, di utilizzare un mezzo, la macchina fotografica, con il quale non ha un rapporto abituale.

La scelta è dovuta al desiderio di raffigurare, senza filtri, una realtà percepita come una rivelazione che, secondo lei, rappresentata in altro modo avrebbe perso la sua forza espressiva.

Margareth è pittrice e scultrice molto legata all’approfondimento di antiche tecniche artistiche.

Nella composizione dei colori in pittura e nella manipolazione dei materiali in scultura ha sempre tratto ispirazione dal passato trasferendolo alla contemporaneità.

Nel suo incontro con una realtà umana, storica e geografica come la città di Malaga, in Spagna, è stata affascinata dalle evidenze delle tantissime civiltà che in questo luogo hanno vissuto e tuttora sono presenti.

Questa percezione, più che dall’osservazione di monumenti o di luoghi noti, nel suo caso è emersa dalla lettura di quanto, in modo ammirevole e diretto, raccontano i muri, le strade, le pietre e tutti i materiali che compongono questa città.

Spesso la fotografia funge da supporto ad altre forme espressive. Viene utilizzata per fissare un elemento per poi riprodurlo con altra tecnica mediante l’osservazione della fotografia.

Ma questo non è avvenuto in questo caso per la scelta operata da Margareth di non modificare l’essenza delle cose.

Questo potrebbe indurre alla considerazione che questa mostra sia puramente documentativa dal momento che l’artista si assume il solo compito di raccogliere ed evidenziare quanto, pur essendo alla portata di tutti, non tutti vedono.

Tale considerazione è vera fino a un certo punto in quanto se è vero che quanto da Margareth mostrato è sotto gli occhi di tutti è anche vero che il modo in cui lei lo guarda è suo e solo suo.

La delimitazione del campo visivo, l’inquadratura e la composizione sono assolutamente soggettivi e sono frutto di scelte.

E sono queste scelte che le hanno permesso di esprimere in forma assolutamente creativa le sue emozioni che compongono questo progetto.

Alfonso Caputo
Settembre 2015
Belforte del Chienti

ventipertrenta2014 – foto conferenza Alfonso Caputo

17 Ott

Yossiel Barroso Almeida al MIDAC – testo di Alfonso Caputo

4 Lug

Believe?! di Yossiel Barroso Almeida

Automatismo psichico puro, attraverso il quale ci si propone di esprimere, con le parole o la scrittura o in altro modo, il reale funzionamento del pensiero [] in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione [](dal primo Manifesto surrealista del 1924)

L’arte del Novecento ci ha lasciato in eredità correnti artistiche e filosofiche che, soprattutto dagli ultimi anni del secolo scorso ad oggi, si sono mescolate e fuse continuando a scorrere sotterranee in assenza di nuovi movimenti che sapessero o potessero incanalare l’arte contemporanea del XXI secolo.

Tutto è superato, ma allo stesso tempo tutto continua ad esistere, sia pure frammentato e non sempre riconoscibile.

Più che a creare nuovi movimenti oggi gli artisti sono impegnati in una continua ricerca della propria identità, cosa non facile visto che ormai gli esseri umani vivono immersi in quella che viene definita la civiltà dell’immagine.

Tutto è bombardamento mediatico ed è difficile cogliere le differenze tra ciò che è arte e ciò che è riproduzione.

Ci si interroga continuamente proprio su ciò che può essere definito arte.

Yossiel Barroso Almeida non si pone questo problema. La sua formazione artistica, presso l’Accademia Nacional de Bellas Artes de San Alejandro, a L’Avana, forte e completa, le permette di concentrarsi sulla sua progettualità senza esitazioni.

Dal progetto alla realizzazione il passo è naturale e non soffre di limitazioni.

I lavori che fanno parte della sua serie “Believe?!” sono parte di una visione ampia che supera quella che potremmo definire l’ispirazione di un momento.

Non sono estemporanei. In essi non c’è nulla di casuale.

Ma proprio come enunciato nel primo manifesto surrealista, a distanza di novanta anni, Yossiel si lascia andare ad una espressione immaginifica nella quale tutto è possibile senza essere mai esagerato.

Non una mera riproduzione di schemi apparentemente superati, ma l’originale interpretazione, in chiave assolutamente contemporanea, di una potenzialità espressiva e concettuale.

Il colpo d’occhio è gradevole e ogni lavoro costituisce uno stimolo per uscire dal rigido controllo della razionalità.

Libera da vincoli formali, questa artista propone la sua arte senza formalismi e priva di ogni dogmatismo.

La libertà della sua creatività si trasmette all’osservatore generando un gradevolissimo senso di leggerezza di cui, particolarmente nei momenti più critici della nostra esistenza, individuale e collettiva, si sente assolutamente un grande bisogno.

Alfonso Caputo
Luglio 2014 – Belforte del Chienti