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Alfonso Caputo al MIDAC – testo di Umberto M. Milizia

4 Set

 Le spirali di Alfonso Caputo

Fa piacere, ogni tanto, poter parlare di un artista che sa quello che fa, sia sul piano strettamente operativo ed artistico che su quello ideologico; un artista, in poche parole, perfettamente autocosciente di se e delle proprie opere.

Si tratta di un’occasione più unica che rara. Qualcuno noterà che dovrebbe essere sempre così, ma possiamo assicurare che la maggior parte degli artisti, gli italiani in particolare, fanno quello che “gli viene” senza porsi molti problemi, salvo, poi, offendersi se il pubblico e la critica chiedano spiegazioni.

Questo risultato non è solo frutto di una predisposizione naturale alla creatività ma anche di uno sforzo e di un’applicazione continua ad acquisire un linguaggio artistico, a perfezionarlo ed a trovare i mezzi per esprimerlo nel migliore dei modi.
Questo è il primo merito che l’autore ha perché nessuno “nasce saputo”, e Caputo si diventa solo con molta applicazione e fatica. Si perdonerà il bisticcio verbale ma il merito di Alfonso (sia permesso di chiamare per nome un amico) è proprio nella fatica continua che ha ha impiegato per raggiungere un perfetto connubio tra perfezione formale ed idea.
Anche ad un’occhiata superficiale, infatti, risalta immediatamente come i quadri esposti siano il risultato di una lunga ricerca sia interiore che materiale.
Anzitutto il principio della spirale è proposto in entrambi i sensi applicabili, centripeto e centrifugo, indicazione di forze che convergono e contemporaneamente possono espandersi, e visto che le spirali hanno un movimento che non ha limiti in se stesso se non quelli fisici della sua rappresentazione il loro valore diviene, anzi, è già in se stesso, universale e indicativo dell’universalità sia dell’universo e del macrocosmo che del microcosmo individuale che in questo universo si colloca.

Alfonso Caputo trova il punto in cui tutto diviene in noi stessi valore e forza vitale ed al tempo stesso in cui noi stessi possiamo espanderci dalla nostra limitatezza all’infinito, non in una contemplazione statica ma vitale e dinamica, sempre in evoluzione ed in movimento.
I quadri, naturalmente, hanno una loro forma e validità fisica e l’uso di più tecniche contemporaneamente permette loro di ottenere il massimo in termini di comunicatività, si pensi solo al vigore che ha la superficie rafforzata dall’uso della sabbia, uso delicato nella realizzazione ma estremamente concreto nell’effetto che la luce incidente può generare.
A questo si aggiunge una capacità di colloquiare con l’ambiente espositivo, qualunque esso sia, ottenuta genialmente da cornici apparentemente classiche ma che usano, come passpartout la superficie espositiva stessa retrostante o, se Alfonso volesse, perfino lo spazio ambientale puro, perché siamo convinti che potrebbero galleggiare tranquillamente nel vuoto, o quasi, senza perdere nulla. Da qualunque parte provenga la luce e qualunque valore abbia, questi quadri manterranno sempre il loro valore di “parole significanti” perché lo portano nella struttura stessa che l’artista ha voluto dare loro.
Lo stesso passaggio dalla circolarità al quadrato ferma e consolida il concetto espresso, generando il passaggio dal contingente del movimento all’assoluto dell’arte, che è anche il passaggio dal “tutto scorre” di Eraclito alla presa di coscienza dell’eternità di questo scorrere della vita.

Se ci dovessero chiedere di spiegare cosa sia una ricerca in arte porteremmo ad esempio proprio Alfonso Caputo che crea un suo linguaggio visivo, chiaro e preciso e soprattutto efficace, in cui le varianti delle singole opere corrispondono all’uso di termini che hanno uno stesso significato di base ma si arricchiscono a vicenda. Si tratta di un linguaggio la cui grammatica è comunicata dalle opere stesse e nessuno spettatore potrebbe dire di non capire o non apprezzare senza malizia; ma tutti saranno compresi ed avvolti da queste spirali così vitali.

Umberto Maria Milizia

Alfonso Caputo al MIDAC – testo di Laura Castanedo

4 Set

Il riflesso dell’Essere nell’arte

Lo spirito umano avanza continuamente, ma sempre a spirale.
Johann Wolfgang Goethe

Alfonso Caputo è un artista-filosofo. Per lui, il suo lavoro deve avere la caratteristica imprescindibile di essere intrinsecamente legato alla sua filosofia di vita. Con questo voglio dire che in ognuna delle sue opere non c’è nulla di gratuito. Così inizia il suo lavoro con la sua vita quotidiana e prima ancora di azzardarsi ad iniziare il processo meccanico deve tradurre questa manifestazione quotidiana in una riflessione profonda che non sorge dalla sua mente, ma dal suo spirito.

La sua nuova serie è quindi questa riflessione interna riflessa attraverso un simbolo universale, come la spirale, ma filtrata attraverso la sua propria ricerca di conoscenza e la sua rottura nella tecnica.

Da questo punto di vista, artistico-filosofico, il creatore ci regala la sua propria luce, la connessione con l’essere che ci ispira a prendere un momento per noi stessi e fermarci per scoprire questa connessione con il mondo.

La spirale è il punto trasformato in linea, che a sua volta arriva a un altro punto. Con le spirali Alfonso ha raggiunto un nuovo punto di partenza tanto nella sua vita artistica quanto nella sua evoluzione personale.

Maschile e femminile, luce e ombra, individuale e collettivo, Yin e Yang, trascendono la loro condizione di opposti e ci portano all’unicità della maturità. Questo ci dice Alfonso con il suo lavoro e con la sua vita.

 Laura Castanedo
Febbraio 2013, Tecate, Messico

Alfonso Caputo al MIDAC

2 Set

La stagione artistica 2013 del MIDAC a Belforte del Chienti, prosegue con la settima mostra personale dell’anno: “Spirali” di Alfonso Caputo (Italia). La mostra, curata da Terra dell’Arte e con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale, sarà visibile nell’ex chiesa di San Sebastiano, sede del MIDAC a Belforte del Chienti, dal 7 al 29 Settembre 2013.

Nella stessa serata ci sarà la presentazione ufficiale del libro “Delirio notturno” di Alfonso Caputo, pubblicato a luglio in prima edizione.

Alfonso Caputo è nato a Foggia nel 1961 e vive a Belforte del Chienti (MC), Italia.

È fotografo, artista digitale, video artista, pittore, poeta.

Al suo attivo ha 130 esposizioni (39 personali) ed ha esposto in Italia, Messico, Stati Uniti, Regno Unito, Austria, Grecia, Bulgaria, Romania, Russia, Lituania, Germania, Spagna, Turchia, Olanda, Argentina, Cuba, Cile, Portogallo, Perù.

E’ fondatore e presidente della associazione culturale “Terra dell’Arte”

E’ Direttore Artistico del MIDAC (Museo Internazionale Dinamico di Arte Contemporanea a Belforte del Chienti), di Ventipertrenta (Festival Internazionale di Arte Digitale), Ars Latina (Progetto Itinerante Internazionale di Arte contemporanea), AradBiennale (Biennale Internazionale di Arte Contemporanea di Arad, Romania), (id)art_fest (Festival Internazionale di Video Arte) e Notti d’Estate (Festival di Teatro, Danza, Musica e Poesia)

“[..] La sua nuova serie è quindi questa riflessione interna riflessa attraverso un simbolo universale, come la spirale, ma filtrata attraverso la sua propria ricerca di conoscenza e la sua rottura nella tecnica. Da questo punto di vista, artistico-filosofico, il creatore ci regala la sua propria luce, la connessione con l’essere che ci ispira a prendere un momento per noi stessi e fermarci per scoprire questa connessione con il mondo. La spirale è il punto trasformato in linea, che a sua volta arriva a un altro punto. Con le spirali Alfonso ha raggiunto un nuovo punto di partenza tanto nella sua vita artistica quanto nella sua evoluzione personale. [..]”

(Laura Castanedo)

 locandinaAlfonsoCaputoweb

Inaugurazione Sabato, 7 Settembre alle ore 19:00

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MIDAC – Museo Internazionale Dinamico di Arte Contemporanea

ex chiesa di San Sebastiano, 62020 Belforte del Chienti (MC)

aperto tutti i giorni (escluso il lunedì) dalle 17.30 alle 19.30

Ingresso libero

tel: (+39) 393.2140065

fax: (+39) 0733.973910

web: http://www.midac-terradellarte.org

Simona Muscolini al MIDAC – testo di Alfonso Caputo

2 Lug

Quella sporca analogia di Simona Muscolini

L’essere umano, troppo spesso, consuma le migliori energie per cercare di piacere, di compiacere, dimenticando che la ricerca dell’essenza, della manifestazione del vero io, è la sola ed unica maniera di piacere a se stesso e di conseguenza l’unica forma corretta di relazionarsi con gli altri.

Di certo non c’è traccia di superficialità o di banalità nei lavori che compongono quest’ultimo percorso creativo di Simona Muscolini.

Non sono lavori che documentano, e tanto meno possono essere definiti didascalici. Tanto le fotografie, così come le parole del suo scritto, ripercorrono una quotidianità fatta di cose, soggetti ed emozioni che sono presenti, discreti, disponibili per chiunque voglia soffermarsi per riconoscerne il diritto all’esistenza.

Non può valere in questi casi l’atteggiamento tipico di chi non vuole accettare la realtà che lo circonda e che per questo, chiudendo gli occhi, in modo selettivo, afferma di non sapere e di non avere visto.

La vita non si compone di elementi uniformi, ma deve la sua ricchezza alla presenza di multiformi realtà che convivono e convergono, compresenti sullo stesso palcoscenico, a volte in forma conflittuale a volte meno, ma sempre legate da un filo sottile che le rende parti di un unico universo.

I personalissimi accorgimenti tecnici adottati da Simona Muscolini nella realizzazione di queste fotografie arricchiscono le stesse di un livello di percezione più profondo che ci trasporta, oscillando senza sosta, dalla profondità dei ricordi all’immersione in ambienti vibranti di umanità.

Ambienti nei quali, inutile cercare di nasconderlo, a volte si fa un po’ fatica a rintracciare quello che la mente ha catalogato come normale.

Quest’ultimo aspetto è senza dubbio dovuto alla tendenza innata alla semplificazione ed alla catalogazione di strutture complesse in stereotipi con l’inevitabile effetto di scoprire, con meraviglia e stupore, che le schematizzazioni mal si adattano alla struttura umana ed ai suoi riflessi nell’ambiente circostante.

Architetture antitetiche, ritratti, di persone o di manichini, visioni urbane, mare e soggetti senza tempo. Tutto confluisce in un percorso nel quale l’inizio e la fine perdono di significato.

Essere presenti è l’unica cosa che conta.

Essere presenti non per guardare, vedere, ammirare, ma per essere parte del tutto, per riconoscersi come frammenti indispensabili all’equilibrio armonico di un insieme che ci stava aspettando.

La lunga attesa di Simona Muscolini, fatta di ricerca e sperimentazione, l’ha condotta in questo stadio dell’espressione in cui il racconto si fa interessante non solo per il contenuto, ma anche, se non soprattutto, per la ricchezza dei dettagli che ne rendono unica la composizione.

Alfonso Caputo
Luglio 2013

Claudia Furlani al MIDAC – testo di Alfonso Caputo

27 Apr

Il processo di sviluppo della vita condiziona qualsiasi essere umano. Fondamentali sono le condizioni ed il contesto in cui questo avviene.

Nascere, ad esempio, in una famiglia i cui elementi provengono da diversi Paesi, addirittura da diversi continenti, non può non segnare, in modo indelebile, la formazione del carattere e della sensibilità.

L’ampia apertura mentale di cui Claudia è dotata deve, probabilmente, la sua origine anche a questo.

Certo non va dimenticato che, a prescindere dal contesto e dalle condizioni, ognuno deve, crescendo, necessariamente alimentare le proprie basi attraverso le proprie azioni.

Questa artista brasiliana si è formata affiancando alla carriera di studio, arrivata ai massimi livelli universitari, l’apprendimento teorico e tecnico vicino alle metodologie appartenenti alla storia dell’arte: vale a dire la trasmissione diretta.

Le sue numerose frequentazioni di atelier di artisti, considerati veri e propri maestri dell’arte contemporanea, le hanno dato la possibilità di affinare ulteriormente la sua capacità espressiva, già notevole, permettendole di manifestarsi usando varie e molteplici tecniche.

Al centro di tutto restano sempre l’emozione e la forma.

La cura attenta alla composizione le consente di rendere, in ogni suo lavoro, tutto talmente armonico che l’osservatore deve per forza abbandonare ogni riserva mentale ed entrare nel suo universo.

Le opere che compongono la serie Tropical, iniziata da pochi anni e tuttora non ancora terminata, sono una prova concreta della potenzialità dell’essere umano di rappresentare, attraverso la propria sensibilità, l’essenza di culture, di luoghi, di oggetti e di colori lontani tra loro solo apparentemente, ma in realtà uniti da un sottile filo rappresentato dalla linea ideale dei pensieri.

In una vita virtuale, non solo intesa in senso tecnologico, i ricordi permettono di passare rapidamente da Istanbul a Bangkok come se realmente fossero l’una accanto all’altra.

Il linguaggio delle forme e dei colori ricostruisce e rende visibile quanto la memoria ha conservato.

Come una paziente tessitrice Claudia riempie la tela di frammenti che assumono dolcemente la propria funzione come parti di un insieme che solo in questa fusione trovano la loro ragione di essere.

Così anche se ogni tela ha la propria autonomia e completezza, immergersi in un percorso in cui più tele si uniscono forma parte del perché la mostra di un artista abbia la sua ragione di essere.

Ed è certamente questo il caso di Tropical, una mostra che può, senza dubbio, essere definita personale in quanto imprescindibile dall’autrice che, con tanta sensibilità, l’ha generata.

Alfonso Caputo
Belforte del Chienti, Aprile 2013